Il preventivo è arrivato via mail: 6.800 euro, esclusi i farmaci e la conservazione annuale. Per molte donne italiane la possibilità di congelare i propri ovuli si ferma qui, sul totale della fattura. Chi ha un tumore può accedere al percorso pubblico, chi ha endometriosi o rischio di menopausa precoce no. Eppure, il tempo biologico scorre per tutti e in Italia ogni anno aumentano le diagnosi di infertilità femminile. In Francia la crioconservazione preventiva è garantita dallo Stato fino ai 40 anni; da noi è una spesa privata e diseguale, che cambia da regione a regione.
Da questa asimmetria nasce la campagna “Congeliamo gli ovuli, non i diritti”, promossa dal collettivo Stiamo Fresche, che chiede il riconoscimento della crioconservazione preventiva come prestazione sanitaria pubblica. “La libertà riproduttiva è sovranità temporale e giustizia sociale, quindi non può dipendere dal reddito”, spiega Marta Maria Nicolazzi, sociologa e co-fondatrice del gruppo. Il 2 novembre scorso, in occasione della Giornata mondiale della fertilità, è partita la petizione che chiede di inserire la crioconservazione nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), come misura di prevenzione accessibile fino ai quarant’anni.
Il quadro italiano: costi, accessi e limiti di legge
In Italia, la preservazione della fertilità non è riconosciuta come diritto sanitario autonomo. La copertura pubblica riguarda quasi esclusivamente i percorsi di oncofertilità, ossia la conservazione degli ovociti prima di trattamenti oncologici che potrebbero comprometterla. Per tutto il resto — patologie croniche, insufficienza ovarica precoce, endometriosi, desiderio di posticipare la maternità — le persone devono rivolgersi al privato.
I costi medi oscillano tra i 5.000 e i 7.000 euro per ciclo, a seconda del centro e del territorio. In alcune regioni si trovano tariffe più basse (2.000–3.000 euro), ma sono eccezioni. A questo si aggiunge il costo annuale di conservazione, in media tra i 100 e i 300 euro, che può variare di molto tra strutture pubbliche convenzionate e cliniche private.
L’unico riferimento normativo rimane la Legge 40 del 2004, pensata per la procreazione medicalmente assistita. Non esiste una legge specifica sulla crioconservazione a fini preventivi, e questo genera confusione: la pratica è considerata strumentale alla PMA e non parte di un percorso di prevenzione, sebbene il suo scopo — agire prima della perdita di fertilità — sia esattamente preventivo.
La mancanza di un quadro nazionale uniforme ha prodotto un panorama a macchia di leopardo. In alcune regioni — Puglia, Lazio e, in forma più limitata, Emilia-Romagna — sono attivi progetti sperimentali o percorsi agevolati, spesso riservati a specifiche condizioni cliniche e legati alla disponibilità dei bilanci sanitari locali. In altre, invece, non esiste alcuna possibilità pubblica, neppure per le diagnosi più gravi.
Nei fatti, la crioconservazione resta un privilegio economico, e spesso anche informativo. I dati raccolti da Stiamo Fresche mostrano che molte donne scoprono l’esistenza della procedura solo dopo una diagnosi tardiva o quando la riserva ovarica è già compromessa.
“Nessuno mi aveva detto che potevo farlo prima”
Il questionario anonimo lanciato da Stiamo Fresche — diffuso tramite consultori, associazioni e social — ha raccolto in poche settimane centinaia di risposte. L’obiettivo è costruire un dossier nazionale con dati, esperienze e proposte operative da portare alle istituzioni.
Tra le testimonianze, i racconti sono ricorrenti: “Ho scoperto da poco di avere bassa conta follicolare e se qualche dottore si fosse degnato di informarmi prima… non mi ritroverei con difficoltà adesso”. Un’altra scrive: “Mi è stata proposta la crioconservazione per l’endometriosi, ma il costo era insostenibile. Non me lo posso permettere”.
Il punto, spiega Nicolazzi, è proprio l’informazione: “Non c’è divulgazione sulla salute riproduttiva. Moltissime donne pensano che la fertilità declini dopo i 40 anni, quando in realtà comincia a calare dai 35. La mancanza di conoscenza e monitoraggio è un problema culturale, non solo medico”.
Alcune testimonianze riguardano anche percorsi oncologici, dove teoricamente la copertura pubblica è garantita: “Ho avuto un linfoma a 29 anni, ho fatto la crioconservazione prima della chemio, ma oggi non ho informazioni su come accedere a quegli ovuli”. In altri casi, il diritto esiste ma non arriva in tempo: “Non mi è stato comunicato subito, e quando ho chiesto era troppo tardi”.
I risultati parziali del questionario mostrano che il principale ostacolo percepito è il costo, seguito da carenza di informazioni e procedure complesse. Solo una minoranza dichiara di sapere dove rivolgersi nella propria regione. La distanza dai centri pubblici, la mancanza di trasporti e i tempi di attesa completano il quadro.
Tutto comincia da una diagnosi
La storia di Stiamo Fresche comincia da un episodio personale. “Ho ricevuto una diagnosi di scarsa riserva ovarica a 31 anni”, racconta Nicolazzi. “Non volevo figli, ma la notizia mi ha colpita. Mi sono informata sulla crioconservazione e ho scoperto un mondo diseguale, dove chi ha mezzi può agire e chi non li ha resta fuori”.
Il collettivo nasce da lì e riunisce professioniste di ambiti diversi — sociologia, diritto, comunicazione, psicologia, medicina — con un nucleo operativo di cinque componenti e una rete di volontarie che collaborano a distanza, che hanno deciso di trasformare un’esperienza privata in un progetto di ricerca e proposta pubblica. “Gestiamo tutto tra noi, a volte con il supporto di altre professioniste che collaborano a distanza. Tutto il lavoro è volontario, ma condividiamo l’idea che la fertilità sia parte della salute pubblica, non un affare privato”.
Le motivazioni alla base della campagna sono sanitarie e strutturali. “Viviamo in un periodo in cui molte donne arrivano tardi a valutare la propria fertilità. Spesso a trent’anni non si ha ancora una casa, un contratto stabile o la possibilità economica di costruire una famiglia. A questo si aggiungono fattori medici e ambientali: lo stress cronico, l’inquinamento, il surriscaldamento globale, che secondo l’OMS influiscono sulla fertilità. In questo scenario, il sistema pubblico dovrebbe offrire strumenti di prevenzione, non solo interventi d’emergenza”.
Sul piano normativo, il gruppo chiede che la crioconservazione venga inserita nei LEA, fino ai quarant’anni, e che la Legge 40 venga aggiornata per distinguere la preservazione della fertilità dalla PMA. “Molti medici la considerano una pratica legata alla fecondazione assistita, ma non è così: è una procedura preventiva. La confusione nasce dal vuoto legislativo”.
Il gruppo ha avviato un dossier di oltre trenta pagine con dati istituzionali, testimonianze e comparazioni internazionali. “Non vogliamo solo denunciare le disuguaglianze, ma costruire strumenti di policy e dialogo. Servono regole chiare, non iniziative episodiche”, afferma Nicolazzi.
Quanto costerebbe allo Stato? “Stiamo lavorando a una stima precisa. Ma è importante ricordare che la prevenzione, a lungo termine, riduce costi futuri: minori stimolazioni, meno procedure complesse, meno percorsi di PMA falliti. È un investimento, non una spesa improduttiva”.
Adozione embrioni congelati, ministeri a lavoro per una legge
Dove la crioconservazione esiste e dove no
Intanto le Regioni si muovono in ordine sparso. In Puglia è stata approvata una proposta di legge che introduce la crioconservazione preventiva come prestazione di prevenzione, grazie a un percorso sperimentale attivo nei centri pubblici. In Lazio è nato il progetto “Cicogna”, ma con modalità poco chiare, secondo Nicolazzi: “È rivolto sia a chi vuole accedere alla PMA sia a chi non ha un partner, ma mancano informazioni sui criteri e sui limiti”, spiega.
In Sicilia, due deputate regionali hanno depositato un disegno di legge sul modello pugliese, ma il provvedimento è ancora fermo. “Il problema è l’assenza di standard nazionali. Chi vive in una regione dove il tema è stato affrontato ha una possibilità; altrove, resta escluso”.
A queste si aggiungono altre Regioni con percorsi più strutturati o parzialmente integrati nel servizio sanitario. In Veneto, ad esempio, una delibera regionale consente il prelievo e la conservazione degli ovociti anche per diagnosi non oncologiche — come l’endometriosi e le malattie autoimmuni — purché sussistano specifiche condizioni cliniche. In Lombardia è attiva una rete dei centri per la preservazione della fertilità che include la crioconservazione nel percorso clinico per l’endometriosi. In Emilia-Romagna, infine, alcuni casi di ridotta riserva ovarica possono accedere al prelievo in regime pubblico presso i centri universitari, sebbene non esista una normativa regionale uniforme.
Questo mosaico di iniziative locali, tuttavia, evidenzia proprio ciò che manca: una regia nazionale. Senza linee guida comuni e dati condivisi, ogni Regione procede per conto proprio, rendendo la tutela della fertilità un diritto geografico più che sanitario.
Per questo il collettivo Stiamo Fresche chiede la creazione di un Registro Nazionale della Crioconservazione, con dati su età media, motivazioni cliniche, esiti e tempi di attesa, per garantire trasparenza e pianificazione. “Oggi non sappiamo quante persone in Italia abbiano congelato i propri ovuli, né in quali condizioni”, osserva Nicolazzi. “Non esistono numeri pubblici, solo stime frammentarie”.
In assenza di dati, anche la discussione pubblica resta approssimativa. “Molti pensano che la crioconservazione sia un modo per diventare madri a 50 anni, ma non è così”, aggiunge. “Serve a preservare la possibilità di scegliere, non a spostare l’orologio biologico”.
“Serve una cultura della fertilità”
Tra gli obiettivi della campagna c’è quello di intervenire dove il sistema sanitario e quello educativo non arrivano: la conoscenza del proprio corpo e della fisiologia riproduttiva. Stiamo Fresche propone di inserire nei programmi scolastici e nei percorsi universitari di area sanitaria moduli dedicati alla fertilità e alla sua prevenzione, costruiti su evidenze scientifiche e non su stereotipi o tabù. L’idea è avviare un’alfabetizzazione di base che permetta di comprendere come varia la fertilità nel tempo e quali strumenti esistono per monitorarla.
“Dovremmo parlare di fertilità come parliamo di pressione o colesterolo”, afferma Nicolazzi. “Nessuno insegna cosa sia la riserva ovarica, come si misura, quando è il momento migliore per controllarla. Molte arrivano tardi semplicemente perché nessuno gliel’ha detto”.
Secondo il collettivo, la mancanza di informazione precoce è una delle principali cause di diseguaglianza nell’accesso alla prevenzione. Una cultura della fertilità, spiegano, non serve solo a chi desidera un figlio, ma a tutte le persone che vogliono conoscere e gestire la propria salute riproduttiva in modo consapevole.
Il gruppo chiede che anche le campagne di comunicazione siano di competenza pubblica, coordinate da esperti indipendenti e società scientifiche, con messaggi trasparenti e linguaggio inclusivo, per evitare che la divulgazione resti nelle mani del mercato o delle cliniche private.
L’obiettivo è passare da un’informazione frammentaria e spesso condizionata da interessi commerciali a una prevenzione strutturale, fondata su dati, chiarezza e accessibilità.
La variabile tempo nella crioconservazione
Ogni anno di ritardo nella diagnosi o nell’informazione riduce le possibilità di preservare la fertilità e rende più costoso ogni tentativo successivo. “La prevenzione funziona solo se arriva prima”, ricorda Marta Maria Nicolazzi.
In Italia, però, il tempo non scorre uguale per tutti. La crioconservazione non è trattata come un’urgenza, ma nemmeno come una prestazione di prevenzione. Resta sospesa tra due definizioni e, in questa incertezza, molte persone restano ferme a metà percorso.
Dalle risposte al questionario di Stiamo Fresche emerge un quadro frammentato: alcune persone raccontano esperienze positive — come quella di una ginecologa che, rientrando nei criteri clinici previsti in Emilia-Romagna, ha potuto accedere alla crioconservazione tramite il Servizio sanitario — ma la maggior parte descrive ostacoli economici, liste d’attesa, mancanza di informazioni. In molti casi si perde traccia del percorso: c’è chi non sa più dove siano custoditi i propri ovociti, chi non riceve aggiornamenti, chi si scontra con regole differenti tra pubblico e privato.
La sensazione comune è di vivere in un tempo che non coincide con quello biologico. Un tempo lento nelle risposte, veloce nell’erosione delle possibilità. E in mezzo, chi vorrebbe solo la possibilità di scegliere prima che sia troppo tardi.
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Fertilità
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