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Il custode dei tuoi ricordi più forti? Una cellula nervosa sottovalutata

Ti sei mai chiesto perché ti ricordi perfettamente dove eri e cosa facevi quando è successo qualcosa di veramente emozionante – bello o brutto che sia? Questo fenomeno, la capacità di conservare ricordi emotivi duraturi, ha un nuovo protagonista, e non è il neurone, la solita star del cervello.

Una ricerca rivoluzionaria pubblicata sulla rivista Nature sta cambiando la nostra visione della memoria. Il merito va a una cellula che, fino a poco tempo fa, era considerata solo un “aiutante” dei neuroni e niente più: l’astrocita.

Gli scienziati ora affermano che gli astrociti non sono affatto semplici cellule di supporto, ma giocano un ruolo attivo e cruciale nel trasformare un’esperienza passeggera in un ricordo che resiste alla prova del tempo. Questa scoperta apre una strada completamente nuova per affrontare malattie come il morbo di Alzheimer o il disturbo da stress post-traumatico.

Il trucco per trasformare una “bozza” in “inchiostro indelebile”

Immagina un ricordo come un documento: inizialmente è una “bozza” salvata in modo temporaneo dai neuroni (le cellule che elaborano le informazioni) in quelle che i ricercatori chiamano “tracce di memoria” o, tecnicamente, ‘engrammi’. Il problema è: cosa rende questa bozza permanente e stabile, specialmente quando l’esperienza è forte o viene ripetuta?

Il team di ricercatori, guidato dal neuroscienziato Jun Nagai, ha scoperto che gli astrociti sono i responsabili della stabilizzazione della memoria. Per capire questo meccanismo, gli scienziati hanno studiato la memoria emotiva (la paura) nei topi, osservando cosa accadeva nel loro cervello durante l’apprendimento e, giorni dopo, durante il richiamo del ricordo. Hanno usato una tecnica avanzata per “marcare” gli astrociti che si attivavano, misurando un segnale interno chiamato Fos.

I risultati

Gli astrociti non si sono attivati subito, nel momento in cui i topi vivevano l’esperienza spaventosa per la prima volta (la fase di “apprendimento”). Invece, l’attivazione massiccia degli astrociti è avvenuta solo giorni dopo, quando i topi tornavano nello stesso ambiente e il ricordo veniva richiamato.

Il neuroscienziato Jun Nagai ha commentato che questa reazione ritardata è stata una vera sorpresa, e suggerisce che l’attività degli astrociti non serve tanto a creare un ricordo nuovo, quanto a rinforzare e rendere stabile un ricordo che è già stato formato.

Come funziona il “filtro” degli astrociti

Perché gli astrociti agiscono lentamente, su una scala di tempo che dura giorni, a differenza dei neuroni che sono velocissimi? Gli astrociti funzionano come un “filtro di idoneità” per i ricordi importanti, creando un ambiente ideale per la loro stabilità. Il processo avviene in due fasi distribuite su più giorni:
1. Il “priming”: l’esperienza emotiva iniziale provoca un cambiamento molecolare lento negli astrociti. Queste cellule aumentano la presenza di piccole “antenne” sensibili a un segnale chimico specifico: i recettori per la noradrenalina. Questo cambiamento, invisibile all’inizio, crea una “traccia molecolare” che dura giorni e rende l’astrocita molto più sensibile.
2. La “convergenza”: quando il ricordo viene richiamato (cioè, l’esperienza viene ripetuta), si verifica un rilascio maggiore e prolungato di noradrenalina (un neuromodulatore associato all’attenzione e all’emozione, potenziato durante il richiamo della paura). Questo segnale chimico potentissimo, che agisce sui recettori ora potenziati, converge con l’attività elettrica dei circuiti neuronali del ricordo. Questa unione di segnali – neuroni + noradrenalina – è ciò che finalmente “accende” l’astrocita.

Questa attivazione selettiva avviene in aree chiave del cervello, in particolare nell’amigdala, la regione cruciale per la gestione delle emozioni e della paura.

Stabilità e precisione dei ricordi

Una volta attivati, gli astrociti svolgono il loro compito finale: stabilizzano il ricordo. Rilasciano una molecola chiamata “IGFBP2”, che è essenziale per rinforzare le connessioni tra i neuroni, cioè la plasticità sinaptica.

I ricercatori hanno provato che la funzione degli astrociti è fondamentale per la memoria. Se gli astrociti vengono zittiti durante il richiamo (o se si blocca l’azione della molecola IGFBP2), la memoria emotiva diventa instabile e si indebolisce. Se l’attività degli astrociti viene esagerata (ad esempio, potenziando troppo i loro recettori), il ricordo diventa troppo stabile. Ciò può causare la generalizzazione della paura, dove la paura, anziché rimanere legata solo al contesto pericoloso, si diffonde anche ad ambienti sicuri.

Questo suggerisce che gli astrociti garantiscono non solo che un ricordo sia duraturo, ma anche che sia preciso e non eccessivo.

In conclusione, l’insieme degli astrociti agisce come una traccia lenta di “permesso”. Non memorizzano l’informazione del contenuto, che è compito dei neuroni, ma creano un terreno fertile per stabilizzare i ricordi di esperienze emotive e ripetute. Questa interazione tra neuroni e astrociti, che opera su una scala temporale lenta di giorni, è la chiave per i nostri ricordi emotivi più incisi.

Comprendere come modulare questo sistema astrocita-noradrenalina potrebbe essere il prossimo passo cruciale per trattare condizioni come il disturbo da stress post traumatico, caratterizzato da un’iperattività del sistema noradrenergico e una paura eccessivamente generalizzata.

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content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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