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Il sostegno decisivo? Gli amici (soprattutto all’università)

La parte meno visibile della vita universitaria non riguarda lezioni o esami, ma ciò che gli studenti si portano dietro da casa. Le esperienze infantili difficili non si esauriscono con la maggiore età: riaffiorano negli anni degli Atenei e influenzano in modo diretto la capacità di gestire le emozioni. È quanto emerge da uno studio condotto da Università di Torino, Università di Padova e Università Europea di Roma.

Il dato che sposta l’asse dell’interpretazione arriva subito dopo: il sostegno dei pari riduce l’impatto delle difficoltà emotive sulla depressione, quello della famiglia no. Una differenza netta che trasferisce la funzione protettiva dalle mura domestiche ai contesti universitari.

Dai traumi precoci ai sintomi depressivi

Lo studio pubblicato sul Journal of Affective Disorders ruota attorno a tre variabili che, combinate, definiscono il perimetro del rischio. La prima sono le Ace (Adverse Childhood Experiences). Nel campione analizzato – 674 studenti, età media 21 anni – il punteggio Ace medio è 1,86: significa che una parte ampia del campione ha attraversato almeno due eventi potenzialmente traumatici prima della maggiore età. La seconda variabile è la regolazione emotiva. Misurata tramite la Ders-Sf, mostra un legame diretto con le Ace: più avversità, più difficoltà nel gestire emozioni intense o improvvise. La terza è la depressione, rilevata con il Beck Depression Inventory-II (media 13,27).

La relazione tra queste tre variabili non è casuale. Le analisi di mediazione rivelano una catena stabile: le Ace aumentano la disregolazione emotiva, e la disregolazione emotiva alimenta i sintomi depressivi. Questo percorso resta significativo anche quando nel modello entrano variabili come sesso, uso di alcol, fumo, cannabis, psicoterapia, psicofarmaci, livello di istruzione e percezione di isolamento. La storia infantile non definisce tutto, ma crea un terreno diverso su cui agiscono le pressioni universitarie.

Il tema dell’isolamento, pur racchiuso in un singolo item del Brief Symptom Inventory, pesa quanto altre variabili molto più complesse. Chi si sente solo tende ad avere livelli più alti di disregolazione emotiva e punteggi depressivi più elevati. Un indicatore minimale che, nei modelli, si comporta da amplificatore del rischio.

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Il peso del supporto dei pari

La parte che ribalta l’immagine tradizionale riguarda il supporto sociale. La scala Mspss (Multidimensional Scale of Perceived Social Support), articolata in 12 item che separano nettamente tre fonti di sostegno – famiglia, amici, partner/figure significative – permette di misurare non la presenza oggettiva delle relazioni, ma la loro disponibilità percepita. È questa distinzione a rendere chiaro il quadro. Quando a sostenere lo studente sono partner o amici, la relazione tra difficoltà emotiva e sintomi depressivi si indebolisce. Nei modelli statistici l’interazione tra disregolazione emotiva e sostegno dei pari è significativa (b = −0,010, p < .01). Il significato operativo è diretto: due studenti con lo stesso livello di difficoltà emotiva avranno esiti depressivi diversi in base alla forza delle loro relazioni tra pari.

Il sostegno familiare non produce lo stesso effetto. Nel modello dedicato alla famiglia, l’interazione non risulta significativa. Le analisi di sensibilità chiariscono il motivo: il supporto familiare è quello che crolla di più in presenza di Ace. La correlazione negativa tra Ace e sostegno familiare (rs = −0,356) è molto più alta rispetto a quella Ace–amici o ACE–partner. Quando gli episodi problematici si sono verificati in casa, la famiglia non viene percepita come risorsa affidabile nell’età universitaria.

Amici e partner invece sì. La protezione si sposta su questo asse. L’impatto non è secondario: nei modelli con supporto dei pari si spiega fino al 60% della varianza nei punteggi depressivi, un livello raro nei dataset psicologici su popolazioni non cliniche. Gli autori sono sintetici: “Il supporto di amici e partner può rappresentare una risorsa chiave per gli studenti con storie traumatiche e disfunzionali”. La frase, più che una conclusione, riassume una parte sostanziale dei dati.

L’altro elemento da non trascurare è la solitudine: meno supporto dei pari, più isolamento percepito; più isolamento, più disregolazione emotiva; più disregolazione, più sintomi depressivi. Nel campione questo schema si ripete con una coerenza che non lascia spazio a interpretazioni alternative.

Dai dati alle azioni

L’indagine è parte di un progetto Prin finanziato dall’Unione Europea – Next Generation EU che ha l’obiettivo di individuare fattori di rischio e protezione nella depressione giovanile. Nei risultati non compaiono raccomandazioni generiche, ma strumenti operativi già in uso in diversi Paesi: programmi di peer-support, mentoring, spazi dedicati al confronto tra studenti, attività progettate per ridurre l’isolamento strutturale.

Gli Atenei dispongono di una leva che non passa per la cura clinica – che richiede altre competenze – ma per l’architettura sociale. Gli interventi citati nello studio non appartengono al filone “benessere” in senso generico: rispondono direttamente a ciò che i modelli numerici identificano come fattore protettivo. Rafforzare la rete dei pari significa agire su una variabile che riduce l’impatto della disregolazione emotiva e limita l’effetto depressivo delle Ace.

In termini pratici, questo si traduce in attività di mentoring fra studenti senior e matricole, gruppi tematici con moderatori formati, residenze universitarie che includano spazi comuni utilizzabili, servizi di tutorato potenziati per intercettare gli studenti che oscillano verso l’isolamento. Non si tratta di sostituire la famiglia o compensare la storia pregressa. Si tratta di intervenire sull’unica variabile modificabile che, nei modelli, riduce in modo misurabile la progressione verso il disagio emotivo: il sostegno dei pari.

Gli autori sintetizzano: “Promuovere reti sociali solide e contesti relazionali positivi è essenziale per sostenere la salute mentale nelle comunità universitarie”. È un’indicazione che deriva direttamente dai dati, non da un orientamento ideologico. E colloca gli Atenei in un ruolo che va oltre l’erogazione didattica: diventano uno dei pochi contesti in cui è possibile influire sulla traiettoria psicologica di giovani adulti già esposti a vulnerabilità precoci.

Giovani

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

© Riproduzione riservata

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