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Istat, demografia in crisi: ma l’eccezione della Campania fa riflettere

Il termometro della demografia italiana segna temperature sempre più rigide. Il nuovo rapporto Istat sulla popolazione, con dati aggiornati al 31 dicembre 2024, conferma una diagnosi cronica: il Paese invecchia, e, inesorabilmente, fa sempre meno figli.

La popolazione totale scende sotto i 59 milioni di abitanti (58.943.464), -27.766 persone rispetto alla stessa data del 2023 (-0,5 per mille). A vedere questi numeri, il calo sembra lieve ma è la sua costanza a incidere sulle prospettive e sull’economia del Paese. Avanzando lentamente, ma costantemente, da oltre un decennio, la crisi demografica è diventata un buco nero, che, ogni anno di più, toglie luce al futuro del Paese.

Nel 2024 i nuovi nati sono stati appena 369.944, il nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. Come per il surriscaldamento globale, scrivono ogni anno nuovi record: più gradi da una parte, meno nati dall’altra.

Unica (relativa) eccezione è la Campania, che si conferma la regione più giovane d’Italia nonostante le difficoltà economiche. Non a caso, la regione, il Mezzogiorno e il Sud del Mondo sono stati spesso citati dai ricercatori come esempi di particolare rilevanza in termini di relazioni familiari e sociali che possono incidere sulla scelta di avere o non avere figli. In molti casi, più della stessa situazione economica.

Per approfondire la relazione tra redditi/stile di vita e crisi demografica, leggi qui: Arriva Natale, ma come è cambiato il concetto di natalità nel corso della storia?

Nel 2024, il tasso di fecondità italiano scende a 1,18 figli per donna dall’1,20 del 2023, in linea con il trend decrescente in atto dal 2010, quando si registrò il massimo relativo di 1,44 figli per donna e quando si esaurì la lieve ripresa iniziata dopo il 1995.

Andamento della popolazione

La piramide dell’età si sta rovesciando con una velocità preoccupante. I bambini tra 0 e 14 anni sono scesi all’11,9% della popolazione totale (erano il 12,2% solo un anno prima) mentre il numero dei “grandi anziani” avanza: gli over 85 sono aumentati di 90.000 unità in dodici mesi, raggiungendo la cifra record di 2.410.000 persone. Oggi rappresentano il 4,1% dell’intera popolazione italiana, testimoniando una longevità che è una conquista sociale e medica ma è un’ardua sfida per il welfare pubblico, che ne esce ogni anno sempre più sfibrato.

Campania regione più giovane: come cambia l’età media e perché 

In un’Italia che invecchia, la Campania si conferma una eccezione. L’età media della popolazione campana è di 44,5 anni, significativamente più bassa della media italiana (46,9 anni) e persino più bassa di quella europea (44,7 anni al 1° gennaio 2024). Da sottolineare che anche il dato campano è in costante aumento (era 44,2 nel 2023 e 43,9 nel 2022).

Il divario diventa abissale se confrontiamo la Campania con la Liguria, la regione più “anziana” d’Italia, dove l’età media ha raggiunto i 49,6 anni. Tra un cittadino campano medio e uno ligure ci sono oltre 5 anni di differenza, un lustro che riecheggia le importanti differenze (sociali, economiche e demografiche) che ci sono lungo la penisola.

Il primato di giovinezza campano è confermato anche dall’indice di vecchiaia (il rapporto tra over 65 e under 14): mentre in Liguria ci sono 283 anziani ogni 100 bambini, in Campania il rapporto scende a 161 anziani ogni 100 bambini, il dato più basso della Penisola.

Perché la Campania resiste? Inerzia demografica e cultura (nonostante l’economia)

Ma come fa la Campania a restare (relativamente) giovane in un contesto di crisi?

I dati suggeriscono che non si tratti di un “miracolo politico” o economico. Al contrario, il rapporto di Save the Children (“Le Equilibriste”) posiziona stabilmente la Campania in fondo alla classifica per l’indice “Mother Friendly”, certificando una carenza strutturale di asili nido e servizi per l’infanzia che dovrebbe, in teoria, scoraggiare la natalità. Anche a livello economico e reddituale, la regione versa da anni nella parte bassa della classifica.

La “resistenza” demografica sembra quindi dipendere da altri fattori:

  • Inerzia demografica: la Campania parte da una struttura della popolazione storicamente più giovane. Questo significa che, pur facendo meno figli rispetto al passato, la base di donne in età fertile è proporzionalmente più ampia rispetto ad altre regioni, garantendo un numero assoluto di nascite che rallenta l’invecchiamento complessivo (cosiddetto effetto-struttura);
  • Maternità e cultura: secondo i dati Istat, il 65% delle madri adolescenti (under 19) si trova nel Mezzogiorno. Questo fenomeno, seppur marginale sui grandi numeri, indica una tendenza culturale o sociale all’anticipo della genitorialità in alcune fasce di popolazione e fa abbassare l’età media;
  • Il paradosso del “familismo”: il permanere di valori tradizionali può spiegare perché si continuino a fare figli anche in assenza di stabilità economica. In passato (tra i tanti) Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia all’Università di Padova ed ex senatore, ha sottolineato come in alcune regioni permanga un modello dai legami forti”, dove tradizionalmente, il gruppo familiare tende ad avere una priorità sull’individuo e dove la continuità dei rapporti genitori-figli e la prossimità abitativa fungono da rete di protezione sociale alternativa al welfare pubblico.
    Sullo stesso tema, il professor Alessandro Rosina ha evidenziato come la famiglia sia ancora centrale nella nostra società, ma anche sotto pressione. Come spiegato dall’esperto, in un’intervista di tre anni fa a MicroMega: “Il crollo delle nascite è stato causato proprio dalla carenza di politiche in grado di mettere in relazione positiva autonomia abitativa ed economica con progetti di vita per le nuove generazioni”. Tuttavia, osserva ancora Rosina, al Sud la transizione verso l’autonomia è più lenta anche per fattori culturali legati a un modello di “solidarietà/obblighi intergenerazionali” che, se da un lato ritarda l’uscita di casa, dall’altro mantiene viva l’importanza del nucleo familiare esteso.

Più donne che uomini

Il censimento 2024 certifica anche la prevalenza femminile: le donne sono 1.200.030 in più degli uomini, rappresentando il 51% della popolazione residente. Una supremazia numerica che si costruisce con il tempo perché le donne hanno un’aspettativa di vita più alta degli uomini: fino alla fascia 40-44 anni prevalgono i maschi, ma dai 45 anni in poi avviene il sorpasso delle donne. Il gap diventa enorme nelle età avanzate: l’82,4% degli ultracentenari italiani è costituito da donne.

Il Sud si svuota, il Nord torna ad attrarre

Geograficamente, l’Italia si muove a due velocità opposte. Il Sud si svuota (-2,5 per mille residenti), mentre il Nord torna ad attrarre (+1,4 per mille nel Nord-ovest). Ma è un travaso che non basta a compensare il saldo naturale negativo: siamo quasi 28.000 in meno rispetto al 2023, nonostante il contributo di 5.371.251 cittadini stranieri (+22,4% per mille), senza i quali il calo demografico sarebbe stato un vero e proprio crollo.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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