Una frase stampata su sfondo blu istituzionale ha trasformato l’abituale provocazione social di Ryanair in una bufera. Cinque giorni fa la compagnia aerea irlandese ha pubblicato sui suoi profili Instagram e X destinati al mercato italiano un post che recita: “Ci riserviamo il diritto di non servire chi indossa tute da maranza”, accompagnato dalla caption “Facciamo noi le regole”.
A distanza di giorni il messaggio resta online, senza chiarimenti né scuse da parte dell’azienda, mentre i commenti si moltiplicano dividendo il web tra chi applaude e chi grida alla discriminazione di stampo razzista.
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La parola al centro della polemica
L’uso della parola “maranza” è sempre più diffuso nella società, tanto da essere entrato persino nella enciclopedia Treccani. Utilizzato soprattutto nell’area milanese, questo termine identifica in modo dispregiativo ragazzi con abbigliamento appariscente e modi chiassosi. Negli ultimi anni l’espressione viene sempre più spesso associata ai giovani di origine nordafricana o italiani di seconda generazione figli di famiglie del Nord Africa. Secondo diversi osservatori, inserire questo termine in una comunicazione ufficiale significa strizzare l’occhio a stereotipi razzisti e classisti, sdoganando l’idea di una selezione della clientela basata sull’apparenza e sull’origine.
Reazioni contrastanti sui social
Ryanair è solita utilizzare sui social media un tono insolito per la comunicazione aziendale tradizionale, ma per diversi utenti questo post ha travalicato i limiti. “Guardando quanti contenuti razzisti o di estrema destra avete scatenato nei commenti, pare chiaro a chi strizzate l’occhio”, scrive un follower. Non mancano gli attacchi sul piano economico: “Preparatevi al fallimento”, avverte un utente, ricordando che i “maranza” “pagano come gli altri”.
C’è chi trova il post paradossale per la compagnia più economica d’Europa: “Grande strategia per la regina delle low cost, dove notoriamente salgono quelli con le giacche di tweed”.
Altri utenti hanno colto l’occasione per sfogare la propria intolleranza verso la categoria: “Fuori i maranza dall’Italia”, scrive qualcuno, mentre un altro prevede una “radicale impennata di prenotazioni” se la regola fosse applicata davvero.
Il marketing della provocazione
Ryanair ha costruito negli anni una strategia comunicativa distintiva sui social media, trasformando ogni critica in contenuto e ogni limite in opportunità di provocazione. Su Twitter, Instagram e TikTok la compagnia punta su trend del momento, meme e post condivisibili che stimolano l’engagement.
Fino al 15 novembre le battute autoironiche avevano riguardato situazioni-tipo: “Più facile prendere un volo e trasferirsi, che fare lo Spid”, oppure “Il venerdì è per viaggiare, non per far finta di lavorare”. Post come quelli sulle dimensioni microscopiche dei bagagli a mano o su chi “indossa 7 strati di vestiti per risparmiare” avevano fatto sorridere senza conseguenze negative. Questa volta però il bersaglio non è una situazione, ma una categoria di persone identificata attraverso un termine connotato etnicamente.
Nonostante la bufera e le accuse di aver promosso un messaggio discriminatorio, da Dublino e dagli uffici italiani della comunicazione tutto tace. Il post non è stato rimosso e non sono arrivate dichiarazioni per correggere il tiro. Intanto la strategia Ryanair produce numeri: ogni polemica si traduce in milioni di impressions, articoli sui giornali, discussioni online. Sotto questo profilo la strategia funziona almeno nel breve termine, mentre alcuni utenti si dicono delusi dalla scelta della compagnia.
Un precedente recente
Il termine “maranza” era già finito al centro di polemiche nel maggio 2025, quando Gioventù Nazionale, movimento giovanile di Fratelli d’Italia, aveva lanciato una petizione intitolata “Sbarazziamoci della cultura maranza”. L’iniziativa, svolta a Piombino e Livorno, puntava a sensibilizzare contro la violenza giovanile e chiedeva l’introduzione nelle scuole di percorsi educativi promossi in collaborazione con comunità di recupero. La Cgil di Livorno era intervenuta esprimendo “forte preoccupazione” per i toni e i contenuti: “Lo slogan e l’immagine utilizzati alimentano una narrazione pericolosa e discriminatoria. Si punta il dito contro un gruppo di giovani, spesso di origine straniera, trasformandoli in un bersaglio”.
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