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Turismo di massa e violenza, Napoli tra bellezza e insicurezza

Con un moto oscillatorio, lento e palpabile, migliaia di turisti camminano tra Spaccanapoli e via dei Tribunali, nel centro storico di Napoli. Nei vicoli dalla storia millenaria, intrisi degli odori delle pizze fritte e dei babà, una realtà più dura e spesso taciuta emerge con forza.

Negli ultimi mesi, il centro storico ha visto il moltiplicarsi degli episodi di violenza: rapine e tentativi di aggressione in pieno giorno; un inquietante episodio di spari avvenuto in piazza Carolina, che ha imposto un piano straordinario di sicurezza; e denunce di aggressioni ai danni di passanti e studenti. Su tutto ciò aleggia la ferita aperta di una violenza sessuale consumatasi a Porta Capuana. Questi episodi hanno riacceso il dibattito pubblico sulla sicurezza urbana e sulla vulnerabilità di chi cammina per i vicoli dopo il tramonto. A questo punto, la domanda sorge spontanea: è possibile continuare a raccontare la “bella Napoli delle pizze e dei babà” senza fare i conti con stupri, spari e rapine che avvengono a pochi metri dai flussi turistici?

La violenza come folklore

Secondo Marcello Ravveduto, docente di Digital Public History dell’Università di Salerno ed esperto nello studio delle rappresentazioni della violenza online, le due cose sono “paradossalmente compatibili”. Una parte dei turisti, infatti, ha l’idea di venire a Napoli anche “in virtù del fatto che è una città particolare, che ha la parvenza di essere una città pericolosa: ciò la rende suggestiva”.

Napoli, pur con la grande bellezza della sua architettura e storia, “rimane anche legata ad una grande storia di violenza urbana, di cultura metropolitana in cui c’è la violenza, c’è lo ‘scippo’, che è diventato parte integrante del suo folklore“. Ravveduto paragona l’esperienza turistica a Napoli a un’attrazione: “È come se uno entrasse in una dimensione di un’esperienza: come quando vai in un parco giochi e vai nella casa degli spettri dove sai che stai entrando per provare paura, ma quella è parte di un’esperienza che vuoi provare”. A Napoli, perciò, si viene anche per la “tensione”.

Questa unicità fa sì che anche “un pezzo di criminalità agisce in questo contesto”. Un caso emblematico di questa “tensione” si è verificato a ottobre 2024 con l’omicidio di un quindicenne a Piazza Mercato. Il caso destò scalpore per la presenza dei turisti che fotografavano la scena del crimine: “Per i turisti – conclude Ravveduto – è stato come trovarsi sul set di un film”, vivendo “un pezzo autentico di quelle che vengono raccontate nei telegiornali, nelle serie televisive”.

Il prezzo della tensione per i residenti

Ma come si traduce questa percezione nella vita quotidiana dei cittadini? Per chi vive a Napoli, come Serena Roscigno, dottoranda all’Università Federico II, la percezione è quella di un “caos permanente e di una stanchezza crescente”. La ragazza descrive l’esperienza come “abitare dentro un presepe sempre aperto, dove il turismo entra fin dentro casa e la vita quotidiana fatica a trovare spazio”. La narrazione da “cartolina” ignora il disagio di chi ci lavora e ci vive.

Serena ci spiega che persino “passeggiare non è più un gesto semplice o rilassante: ci si sente continuamente in allerta”. L’esasperazione silenziosa si somma alla paura generata da rapine, aggressioni e da episodi gravissimi come lo stupro avvenuto a Porta Capuana, che ha segnato profondamente l’idea di sicurezza di chi vive queste zone. La conseguenza è l’impossibilità di vivere la città normalmente: “Questo non è vivere una città, è sopravvivere dentro un palcoscenico continuo”. Per la ricercatrice, il problema non è il turismo in sé, ma “l’assenza di un equilibrio”, e conclude che la città oggi appare “sospesa tra bellezza e disordine, tra attrazione e insicurezza”.

Un patrimonio da difendere

Nonostante la paura e l’esasperazione, la contraddizione si scontra con il profondo senso di lealtà di chi è nato e cresciuto a Napoli. Per molti, difenderla continua ad essere un dovere sentito. Questo è il sentimento espresso da Anna Silvana Perno, guida turistica autorizzata nota sui social come @napolireale, che sente il “bisogno e il dovere di proteggerla e di difenderla”.

Perno ammette di avere un “grande limite” nell’esprimere un giudizio obiettivo, essendo il suo condizionato dalla sua esperienza di vita “all’interno dell’ecosistema Napoli”. Cresciuta a Ponticelli, “uno dei quartieri più disgraziati della città che insieme a San Giovanni e a Barra faceva parte del triangolo della morte”, la guida ci parla di un’infanzia dove non passava un solo giorno “in cui non ci fosse qualche morto ammazzato, era un bollettino di guerra“. Di fronte a questa realtà, ci spiega che se riuscisse ad essere obiettiva “ti dovrei dire che Napoli è una città terribile e violenta, ma non ci riesco”. Questo perché, pur essendo spietata, Napoli “sa amarti come una mamma”, e “difficilmente sarai solo”.

E riguardo all’overtourism, Perno, che ha iniziato a lavorare 23 anni fa quando i turisti erano rari a Natale, nota oggi che vedere tanta gente significa anche “tanto lavoro per le guide, per i ristoranti, taxi etc.”. Il turismo a Napoli ha registrato, infatti, una crescita eccezionale, con un aumento di quasi il 50% nell’ultimo triennio (2022-2025), superando città come Roma e Venezia. Il 2024 ha visto la città raggiungere i 14 milioni di presenze e proiezioni per il 2025 prevedono 20 milioni.

Certo, se io fossi il sindaco – suggerisce -, sposterei un po’ di attività in quel famoso triangolo della morte che chiamerei il triangolo della sorte”, ha concluso. Una visione proattiva che suggerisce che la dualità tra attrazione e insicurezza non debba essere ignorata, ma può essere trasformata in un’opportunità, permettendo alla città di vendere non solo i suoi babà, ma anche l’autentica, complessa e suggestiva esperienza della napoletanità.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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