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Verso l’eliminazione della violenza di genere: dalle riforme storiche al paradosso nordico

La lotta contro la violenza di genere, sia essa fisica, economica o sociale, è segnata da riforme legislative cruciali che hanno gradualmente smantellato strutture discriminatorie presenti nel diritto italiano. Oggi, in occasione della Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne ripercorriamo quelle tappe che negli ultimi cinquant’anni hanno aggiunto anno dopo anno un tassello verso la parità, cercando di debellare il fenomeno. Dalle riforme storiche, al ruolo della scuola e dell’educare al tema: scopriamo a che punto siamo verso l’eliminazione della violenza di genere nel nostro Paese.

Leggi e riforme contro la violenza di genere: una panoramica storica

Il primo passo fondamentale avvenne nel 1975 con la Legge n. 151, il Nuovo codice di Diritto della Famiglia. Questa riforma sostituì il Codice civile del 1942, introducendo la parità giuridica tra i coniugi e la responsabilità genitoriale condivisa al posto della patria potestà. Solo tre anni dopo, nel 1978, la Legge 194 regolamentò l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), depenalizzando l’aborto e trasformandolo da reato a diritto tutelato, riconoscendo la salute fisica e psichica della donna.

Un altro momento di svolta epocale si ebbe nel 1981 con l’abrogazione sia del delitto d’onore che del matrimonio riparatore. Quest’ultimo permetteva al reo di violenza sessuale di estinguere il reato sposando la vittima. Fu il coraggio di Franca Viola, una ragazza di 18 anni di Alcamo, in Sicilia, a fare da precursore verso la cancellazione di questa norma. La giovane venne rapita, segregata e violentata per otto giorni da un coetaneo del suo paese: fu la prima a rifiutare di sposare il suo aguzzino.

Negli anni ’90, l’attenzione si spostò sulla sfera professionale e sull’integrità fisica:
1992: La Legge n. 215 promosse le pari opportunità economiche, supportando in particolare lo sviluppo e l’accesso al credito per l’imprenditoria femminile.
1996: Con la Legge n. 66, la violenza sessuale cessò di essere considerata un reato contro la moralità pubblica per essere finalmente riconosciuta come un reato contro la persona, tutelando la libera autodeterminazione della vittima.
1999: L’Italia, ultima tra i Paesi Nato, permise l’arruolamento delle donne nelle Forze Armate.

Nel nuovo millennio, le normative si sono concentrate sul contrasto e la prevenzione del femminicidio. Nel 2013, la Legge n. 199 ha introdotto misure urgenti, tra cui l’arresto obbligatorio in flagranza per stalking e maltrattamenti, il divieto di avvicinamento e l’introduzione di aggravanti specifiche. Un passo significativo in termini di parità formale è avvenuto nel 2022, quando la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime le norme che imponevano automaticamente il cognome paterno, permettendo ai genitori di scegliere l’ordine o se dare solo uno dei due cognomi al figlio.

Le normative più recenti risalenti all’ultimo biennio, si basano sul principio fondamentale del consenso libero e attuale per qualsiasi atto sessuale, la cui assenza costituisce reato di violenza sessuale (Art. 609-bis c.p.). Inoltre, è in attesa di via libera definitivo l’introduzione del reato di femminicidio (Art. 577-bis c.p.), che punisce con l’ergastolo chi uccide una donna per motivi di discriminazione o odio di genere.

Il ruolo dell’educazione sessuo-affettiva

Un altro passaggio che consente di analizzare il fenomeno della violenza di genere nel nostro Paese è l’introduzione e le modalità di fruizione dell’educazione sessuo-affettiva nelle scuole. Un elemento di discussione è il cosiddetto consenso informato dei genitori che delega alla loro responsabilità la possibilità, o meno, di far prendere parte al minore a un percorso di formazione sessuo-affettiva.

Se da un lato c’è chi ritiene che la decisione di coinvolgere i minori in questi percorsi educativi spetti esclusivamente ai genitori in quanto tutori dei propri figli, dall’altro c’è chi parla di un “freno alla prevenzione”. A spiegare il perché è il dottor Luca Dinatale, giudice onorario del Tribunale per i Minorenni di Milano, psicoterapeuta dell’età evolutiva e presidente dell’Associazione di promozione sociale pavese Gli Sdraiati secondo il quale “imporre un meccanismo che richiede il permesso di affrontare il dialogo sulle relazioni, sulla sessualità o l’affettività può rappresentare un freno alla prevenzione e dimentica che i giovani spesso sono già esposti precocemente, e in maniera non presidiata, tramite internet e social network a contenuti ad alto impatto emotivo, senza gli adeguati strumenti di lettura e comprensione. Bambini e adolescenti si confrontano già con desideri, limiti e codici propri delle relazioni, fuori dai legami con i loro genitori; pertanto, portare all’attenzione del dialogo scolastico queste tematiche è un’opportunità di non lasciarli soli ed esposti ad interlocutori inaffidabili, ma piuttosto farli sentire parte di un’unica comunità educante che contribuisce a costruire ambienti in cui possano crescere consapevoli”.

Il paradosso nordico

Altro tema sul quale si è discusso alla vigilia di questa giornata è il cosiddetto “paradosso nordico”, questione emersa negli ultimi giorni grazie alle parole della ministra per la Famiglia Eugenia Maria Roccella, la quale ha sollevato il quesito sull’efficacia dell’educazione nella riduzione dei casi di femminicidio.

Facciamo quindi chiarezza: i Paesi del Nord Europa (Svezia, Finlandia, Danimarca) sono riconosciuti per i migliori punteggi in termini di parità di genere e hanno introdotto l’insegnamento di sessualità e affettività nei programmi scolastici da oltre cinquant’anni. Nonostante questo progresso, queste nazioni registrano un’incidenza di episodi di violenza fisica o sessuale particolarmente elevata. Oltre la metà delle donne in Svezia dichiara di averla subita, in Italia, dove l’educazione sessuale non è strutturale, la percentuale si attesta al 31,7%. Ma quindi dove c’è educazione sessuale nelle scuole ci sono più casi di violenza? La risposta è “No”: la chiave di lettura del paradosso risiede nella maggiore consapevolezza delle vittime; in una maggiore sensibilità riguardante il tema. Nei Paesi dove l’educazione sessuale è integrata nella cultura scolastica, le donne sono più informate sui propri diritti e più capaci di riconoscere e denunciare gli episodi di violenza.

Tuttavia, questi numeri evidenziano anche un problema sottostante: l’aumento delle denunce suggerisce che la componente maschile non riesce ancora ad assorbire pienamente i principi di parità e rispetto che l’educazione dovrebbe trasmettere. Per questo, gli esperti raccomandano che l’educazione sessuale sia “olistica” e non si limiti alla biologia, ma che includa anche l’educazione alle emozioni, alle relazioni, al rispetto reciproco e soprattutto al consenso.

 

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L’obiettivo politico

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha sottolineato che l’eliminazione di questo fenomeno è un obiettivo politico e un’urgenza imprescindibile per la convivenza civile. Il Ministro ha precisato che l’obiettivo non è solo eliminare la persecuzione fisica, ma anche la discriminazione professionale, sociale e culturale.

Secondo Valditara, sradicare la violenza è la precondizione per la realizzazione di valori fondamentali, primo fra tutti la dignità e l’inviolabilità di ogni persona. Per affrontare tale urgenza, la scuola costituzionale deve essere centrale. Il Ministero ha introdotto l’educazione alle relazioni e al rispetto per la donna, nonché il contrasto alla violenza di genere, come obiettivi di apprendimento specifici all’interno delle nuove linee guida sull’educazione civica. Valditara ha espresso soddisfazione per l’adesione massiccia del sistema scolastico: il 90% delle scuole secondarie di secondo grado ha attivato percorsi, in gran parte lezioni curricolari. Il risultato più incoraggiante è che quasi il 70% dei docenti ha riscontrato un’evoluzione positiva nei comportamenti degli studenti, con un maggiore rispetto verso le compagne. Le iniziative messe in campo includono anche un protocollo con Indire e l’Ordine degli psicologi per la formazione specifica dei docenti. Il Ministro ha enfatizzato che solo il ripristino dei confini dell’io e l’insegnamento del significato decisivo di un “no” possono contrastare efficacemente la subcultura della sopraffazione e del maschilismo.

 

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Il quadro attuale: ritardi economici e impegno di contrasto

Nonostante i progressi legislativi, il quadro attuale in Italia evidenzia ancora significative criticità.

In termini di parità, l’Italia presenta un indice di uguaglianza pari a 69,2 su 100, posizionandosi tra i più bassi nell’Unione europea. Solo il 33,6% dei seggi parlamentari è occupato da donne.

Sul piano economico, il tasso di occupazione femminile italiano (attorno al 53-54%) è l’ultimo nell’Ue, con un divario di circa 13-14 punti percentuali rispetto alla media europea. Inoltre, persiste un significativo divario salariale: nel 2024, le donne percepiscono in media 19.833 euro, a fronte dei 27.967 euro medi degli uomini, con una differenza di circa il 29% in meno. Fenomeno che spesso va a braccetto con quello della violenza economica e del ricatto emotivo.

Sul fronte della violenza, i dati Istat confermano che oltre il 30% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito nel corso della vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale in Italia.

Il Governo attuale ha riconosciuto la gravità del fenomeno e ha attuato misure concrete: ha inasprito le pene e rafforzato strumenti come il “codice rosso”. Sono stati raddoppiati i fondi destinati ai centri antiviolenza e alle case rifugio, è stato potenziato il “reddito di libertà”, ed è stato promosso il numero 1522. Nonostante questi passi avanti concreti, la premier Giorgia Meloni ha sottolineato: “La violenza sulle donne è un atto contro la libertà. Di tutti. Un fenomeno intollerabile, che continua a colpire e che va combattuto senza sosta”.

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content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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