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Europa Donna, ‘oltre mille adesioni a campagna per accesso equo a screening seno’

(Adnkronos) – Ha già raccolto oltre mille firme, a un mese dall'avvio, la campagna nazionale 'La fortuna costa, la sfortuna di più', promossa da Europa Donna Italia e attiva fino a ottobre. E' un segno dell'interesse e della crescente consapevolezza delle donne dell'importanza della prevenzione senologica, sottolinea l'associazione. Nel nostro Paese – ricorda Europa Donna in una nota – oggi ci sono cittadine 'fortunate' perché risiedono nelle poche Regioni (appena 6 su 20) che hanno adottato la piena estensione della fascia d'età dello screening mammografico dai 45 ai 74 anni, e cittadine 'sfortunate' perché abitano in Regioni in cui tale estensione è solo parzialmente attiva o non lo è del tutto. Il programma di screening per la prevenzione del cancro al seno, infatti, in alcune Regioni inizia a 45 anni e in altre solo dai 50, in alcune arriva fino ai 69 anni e in altre si estende fino ai 74.  "Sono disparità che non possiamo accettare – dichiara Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia – perché disattendono le linee guida europee che, fin dal 2017, chiedono di ampliare la fascia di età dello screening mammografico dai 45 ai 74 anni. Queste disomogeneità, inoltre, creano disuguaglianze che si traducono in possibilità di salute, e di salvezza, negate a oltre 2 milioni di donne nel nostro Paese. Per queste ragioni abbiamo avviato la campagna 'La fortuna costa, la sfortuna di più'. Il fatto che in appena 4 settimane abbiamo raccolto oltre mille adesioni conferma quanto il tema sia sentito dalle donne. Porteremo la loro voce alle istituzioni nazionali e regionali – assicura – perché il diritto alla prevenzione del tumore che più le colpisce sia uguale per tutte".  La campagna resterà attiva sul sito di Europa Donna Italia fino a ottobre, mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno. A campagna conclusa i risultati saranno presentati a Roma in una sede istituzionale e, a seguire, nelle Regioni che devono ancora attuare o completare l'ampliamento dello screening dove sono previste azioni di advocacy mirate dirette ai decisori istituzionali.  "Con oltre 53.600 nuove diagnosi registrate nel 2024 – evidenzia Paola Mantellini, direttrice dell'Osservatorio nazionale screening – in Italia il tumore al seno si conferma il più frequentemente diagnosticato tra le donne e, purtroppo, anche il più frequente per mortalità. Se viene intercettato agli esordi, però, tutto cambia: si può curare con terapie meno invasive e più efficaci, interventi chirurgici più conservativi e una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi che nel nostro Paese supera ormai il 90%. Per questo lo screening può essere un salvavita, e l'estensione della sua fascia di età, come anche documentato dalle linee guida europee e italiane, è cruciale per garantire maggiore quantità e qualità di vita. Per questo motivo è importante, inoltre, dare una formalizzazione a questa proposta introducendo l'ampliamento nei livelli essenziali di assistenza, facilitando quindi l'allargamento anche nelle Regioni in cui vigono i piani di rientro". "Il programma di screening mammografico organizzato – afferma Silvia Deandrea, presidente della Federazione delle associazioni degli screening oncologici e del Gruppo italiano screening mammografico – chiama periodicamente le donne a effettuare una mammografia, garantendo che l'esame venga eseguito in modo totalmente gratuito, secondo parametri certificati di qualità ed efficacia. Le immagini radiologiche sono interpretate 'in doppio cieco' da 2 radiologi indipendenti, per massimizzare l'accuratezza diagnostica, e i centri in cui viene svolto lo screening sono direttamente collegati alle Breast Unit, strutture multidisciplinari specializzate che assicurano una presa in carico tempestiva e completa in caso di diagnosi". "Ampliare la fascia di età in cui lo screening viene garantito – osserva D'Antona – rappresenta certamente un costo per il Servizio sanitario nazionale, ma non farlo sarebbe un clamoroso autogol. A pagarne le conseguenze sarebbero in primo luogo le donne, private della possibilità di intercettare per tempo una malattia che, se diagnosticata precocemente, può essere curata. Ma a perdere è anche l'intera collettività: investire nella prevenzione significa infatti evitare i costi, ben più alti, che si sosterrebbero a curare tumori scoperti in fase avanzata a causa di diagnosi tardive. Ci teniamo a sottolineare che, quando parliamo di costi, non ci riferiamo solo a quelli economici, ma anche a quelli sociali, lavorativi, psicologici e, non ultimi, affettivi: quando una donna si ammala – conclude – tutto il sistema di relazioni e affetti intorno a lei ne è colpito". —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)

© Riproduzione riservata

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