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sabato 7 Giugno 2025
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Da Bartezzaghi a Parenzo, le novità in libreria

(Adnkronos) – E' in libreria con Mondadori 'Bozze non corrette' di Stefano Bartezzaghi e Pier Mauro Tamburini. “Questo libro – racconta Bartezzaghi – è pieno di errori, mille per la precisione: refusi (ma non di punteggiatura o sintassi, non sono così cattivo), errori lessicali e grammaticali, vocaboli sbagliati, errori fattuali, omissioni. E non è colpa del povero correttore di bozze che ci ha lavorato. Gli errori li ho messi io, per giocare con voi come Niccolò Errante faceva con me. Errante era un grande scrittore misterioso, enigmatico, che non amava apparire: nessuno sa esattamente neanche quando o dove è nato. Avevo il privilegio di essere il correttore di bozze dei suoi romanzi e posso dire di essere stato anche un suo amico. E a un certo punto io e Niccolò abbiamo iniziato a fare un gioco.  Mi inviava brevi racconti pieni di errori da scovare, e quegli errori componevano un messaggio segreto. Ci abbiamo giocato fino alla sua morte o, per meglio dire, fino al suo suicidio: il 3 giugno 2025, dopo una riunione con la casa editrice, il mio scrittore preferito e mio amico, infatti, completamente ubriaco si è buttato dal balcone di casa sua. Però io so che Errante non si è suicidato e ho nascosto la verità nei mille errori disseminati in questo libro. E solo i più scaltri tra voi che riusciranno a trovarli potranno ricomporre un messaggio segreto e risolvere il giallo della sua morte. Quanti di voi accetteranno la sfida?”.  Rizzoli manda in libreria il nuovo saggio del giornalista David Parenzo, 'Lo Scandalo Israele' “Una casa brucia. Una casa è immersa nella pace.” David Parenzo, ebreo e laico, fondamentalista democratico, sceglie questa immagine e sette storie per raccontare lo scandalo Israele. Nella Bibbia il numero sette è sempre indicato come il numero della perfezione e della natura divina. Sono sette i giorni della creazione e i bracci della Menorah, uno dei simboli principali del mondo ebraico.  Eppure il sette ricorre anche nella data del giorno più tragico, il 7 ottobre 2023, quando un commando di terroristi di Hamas ha dato l’assalto ai kibbutzim al confine con la Striscia di Gaza, uccidendo circa 1.200 persone, tra civili e militari, e prendendone in ostaggio 251, tra cui donne e neonati. Sette come gli ingredienti della challah, il pane intrecciato della festa, che in queste pagine ci aiuta a cogliere fino in fondo il carattere scandaloso della fondazione di Israele attraverso la vita di David Ben Gurion e il sogno di una convivenza che ancora oggi sono in molti a rivendicare in piazza a Tel Aviv. La resilienza qui magnificamente espressa dalla storia di Yuval Biton, il dentista che ha curato in carcere Yahya Sinwar, capo di Hamas, diventato poi la mente della tragedia del 7 ottobre che è co- stata la vita anche al nipote dello stesso Biton. E poi Ella, prima donna araba diventata tenente dell’Idf.  Mansour Abbas, politico palestinese leader di un partito arabo-israeliano. Noa Lea Cohn, la gallerista di Gerusalemme che porta avanti la sua ricerca per valorizzare l’arte ultraortodossa. E Rachel, che il 7 ottobre ha tenuto a bada i terroristi entrati nella sua casa offrendo loro tè e biscotti, e che ci racconta bene quanto questo Scandalo è utile a tutto l’Occidente democratico perché, come diceva Ben Gurion, “In Israele, chi non crede nei miracoli non è realista”.  "Non si capisce una parola". Spesso è questa, ammettiamolo, la sentenza di molti profani quando cala il sipario di un’opera. Eppure, fin da un’età scandalosamente giovane Alberto Mattioli, autore di 'Il loggionista impenitente' (Garzanti), del teatro musicale s’innamora, tanto da scegliere di consacrargli la propria vita di giornalista, di critico, di devoto, persino. E oggi che il melodramma appare più che mai uno spettacolo irrimediabilmente rétro, se non addirittura un reperto di epoche lontane, Il loggionista impenitente invece lo celebra. Perché è vero: l’opera è un’arte difficile, costosa, complicata, che racconta vicende inverosimili in una lingua che nessuno ha mai davvero parlato e molti nemmeno capiscono, e che per di più impone l’insensata convenzione che le persone comunichino cantando. Ma ancora più vero è che l’opera offre un invito alla riflessione, al dibattito, all’autocoscienza, e soprattutto uno strumento per raccontare e raccontarsi, dimostrando in ciò di essere innegabilmente contemporanea. Quella che il lettore incontrerà in queste pagine è dunque molto più che una semplice raccolta di recensioni, una galleria di personaggi o una rassegna di polemiche, titoli, tendenze: è la confessione senza veli di una passione incurabile, quasi spudorata. Di un’ossessione, forse. Fatto sta che l’entusiasmo di Mattioli è contagioso, e le sue parole non si limitano a predicare ai convertiti: indurranno invece anche i più scettici a indossare il loro abito migliore e, pronti a lasciarsi stupire, ad avventurarsi, magari per la prima volta, oltre la soglia del foyer.  La musica vissuta come un'esperienza collettiva, reale e non virtuale prima dell'avvento dei social. Un'esperienza vissuta nei locali di tutta Italia, dalla riviera romagnola fino alla Puglia, regione in cui si impone il 'Divinae Follie'. Punti di incontro in cui si avverte il battito frenetico di un’epoca. Ma anche l’epica di una famiglia e di una generazione che, tra successi e cadute, fanno della notte il loro regno. Sullo sfondo i concerti di emergenti come Ligabue, Fiorello, Jovanotti, gli ultimi giovani senza telefonini, senza internet e senza social network. Esce oggi 'Divinae Follie – Storia della generazione che ballava negli anni Novanta', il nuovo libro di Lucio Palazzo pubblicato da Castelvecchi Editore, (pp. 216 – 18,50 euro), disponibile in libreria e negli store online. I giovani degli anni ’90 sono stati gli ultimi a vivere e crescere ancora con l’abitudine di costruire relazioni nella vita reale e non virtuale. I luoghi fisici avevano un ruolo fondamentale. Fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, il rito dello stare insieme per ascoltare musica e ballare fa un salto di qualità: in Italia arrivano le prime grandi discoteche, sulla scorta dell’esperienza americana e inglese. L’uomo che seleziona la musica viene messo fisicamente al centro della scena, nascono locali come il Cocoricò, il Pascià ed altri sulla riviera romagnola che ospitano esibizioni complesse, con l’uso di costumi e con una impostazione spesso teatrale. Il deejay diventa una rockstar, la notte cambia liturgie diventando una sorta di messa laica, che purifica chi vi partecipa dalle scorie della vita reale. Al Sud c’è il 'Divinae Follie', della famiglia Mastrogiacomo, che non nasce in Romagna ma a Bisceglie, in una Puglia non abituata a quello spettacolo, in un territorio che non è quello di oggi. 'Divinae Follie – Storia della generazione che ballava negli anni Novanta' è il primo romanzo ambientato in una di quelle discoteche e che parla di quella generazione, dei ragazzi che videro arrivare la prima house music di Frankie Knuckles da Chicago, e che assistettero all’ esplosione di nomi come Fiorello e Jovanotti. Nel 1987, Vito Mastrogiacomo, imprenditore pugliese che organizza matrimoni, vola a Londra da sua figlia, scopre l’Hippodrome, storica discoteca vicino Leicester Square e decide di tornare in Italia per aprire proprio insieme a Titti e all’altro figlio Leo un club gemello di quello inglese a Bisceglie. Pochi mesi dopo l’apertura, una bomba costringe i proprietari a ricostruire il locale. Chi vincerà? Il successo resisterà ai conflitti familiari, alle ambizioni, ai tradimenti? Perché creare un tempio della notte, nel Sud che cambia pelle, significa sfidare tutto: la morale, le istituzioni, le pericolose ombre della malavita che si muovono sottotraccia. Ma il Divinae Follie non nasce, esplode.  "Se una giornalista torna in una bara da un paese in guerra, sicuramente sarà stata uccisa perché aveva fatto uno scoop, se invece dopo essere stata rapita torna a casa viva, beh, allora se l’era andata a cercare". Giuliana Sgrena, ora in libreria con 'Me la sono andata a cercare. Diari di una reporter di guerra' (Laterza) se l’è andata a cercare raccontando la violenza e la sopraffazione nei più importanti conflitti degli ultimi trent’anni, dando al giornalismo di guerra anche un punto di vista femminile. Giuliana Sgrena è stata per quasi trent’anni inviata speciale in tutti i maggiori conflitti: dall’Algeria all’Iraq, dalla Somalia all’Afghanistan, dalla Siria all’Eritrea. I suoi articoli hanno raccontato un mondo dove la guerra stava tornando a essere non più un’eccezione ma la normalità. Dove regimi autoritari reprimevano e violentavano i propri popoli, dove gli stati fallivano, dove gli interventi di peacekeeping dei paesi occidentali si risolvevano in fallimenti e fughe precipitose. Si è esposta in prima linea per svelare le grandi falsificazioni dei governi e dei giornalisti embedded: dalle violenze commesse da chi avrebbe dovuto esportare la democrazia ai traffici osceni che ogni guerra porta con sé. A emergere in questo libro sono soprattutto gli incontri con donne e uomini straordinari, o il ricordo di colleghi, come Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, che hanno pagato con la vita la loro volontà di testimonianza. E, naturalmente, c’è il peso che tutto questo lascia nella propria esistenza: per Giuliana soprattutto il rimorso per la morte di Nicola Calipari, colui che l’aveva liberata dal sequestro di un gruppo islamista in Iraq e che venne ucciso da un soldato americano sull’auto che li stava portando all’aeroporto di Baghdad. Per anni, alla sindrome del sopravvissuto si è accompagnata l’accusa, da parte del mondo tutto maschile del giornalismo di guerra, di ‘essersela andata a cercare’, perché una donna non avrebbe dovuto essere lì. E questo libro è proprio la rivendicazione, con orgoglio, di una vita spesa – da donna – in prima linea.  E' in libreria con Feltrinelli 'Bella e perduta' di Paolo Rumiz. Cos’è oggi Garibaldi? È un linguaggio forte e liberatorio che rompe col politicamente corretto, stronca ogni rigurgito di fascismo e non teme di chiamare le cose col proprio nome. È una topografia corsara che riaccende memorie ovunque e compone il ritratto di un eroe sconfitto, che non può riconoscersi in un’Italia che ha tradito le premesse del Risorgimento. Un uomo appassionato e irruente, capace di prendere in mano la penna per scrivere una lettera infuocata agli italiani di oggi. In un Paese che in apparenza non si indigna e nemmeno canta più, Paolo Rumiz attraversa borghi, città e campagne incontrando un popolo inatteso, fatto di uomini e donne retti, coraggiosi e – anche nel dissenso – carichi di passione civile, che spesso guardano a Garibaldi come emblema di libertà, giustizia e ribellione: riferimento ideale per proporre una narrazione diversa sull’Italia di oggi, le sue divisioni, le sue contraddizioni e una memoria che tende a svaporare. Con indosso una camicia rossa commissionata per la traversata dello Stivale, Rumiz si fa protagonista di questa rievocazione avventurosa anche con azioni spavalde, come quando con un commando di “ribelli” si diverte a scalare di notte una ciminiera di Montecchio Maggiore in Veneto, per appendere a quaranta metri d’altezza un enorme tricolore sotto il naso degli antitaliani. E ci accompagna in un viaggio patriottico fisico, spirituale e pieno di sorprese, che ha suscitato una valanga inattesa di lettere arrivate dall’Italia e anche dall’estero. Fra riferimenti letterari, storici, simbolici legati a una tradizione risorgimentale di ardore e visione, Bella e perduta è un’opera appassionata e, qualità ormai rarissima, capace di unire.  E' in libreria con Piemme 'Leone XIV. Il Papa venuto per la pace', il saggio scritto dal vaticanista Domenico Agasso. Nel tardo pomeriggio dell'8 maggio, dopo solo quattro scrutini, la fumata bianca ha annunciato l'elezione del nuovo papa della Chiesa cattolica, Robert Francis Prevost, Leone XIV. Nelle previsioni che si rincorrevano frenetiche nei giorni precedenti, il suo non era certo tra i nomi più gettonati: per molti è stata una sorpresa vederlo affacciarsi dal balcone di San Pietro. Un pontefice già destinato a fare storia, primo statunitense e primo appartenente all'ordine di sant'Agostino a salire al soglio di Pietro. Anche la scelta del nome ha fatto discutere, per la continuità con quel Leone XIII che con l'enciclica Rerum Novarum aveva portato per la prima volta la Chiesa a occuparsi di questioni sociali. Ma in un momento tanto difficile per il pianeta, tra guerre in atto e annunciate, un'economia in crisi, le difficoltà di dialogo internazionale e i conflitti sociali, sarà in grado questo papa di aprire nuove vie di concordia e fratellanza? Saprà agire per quella pace tanto invocata nel primo discorso da pontefice? Saprà, come molti auspicano, mettere d'accordo l'ala più progressista e quella più tradizionalista della Chiesa, evitando uno scontro che minaccia di sfociare in scisma? Soprattutto, troverà il modo di raccogliere l'eredità di Francesco e, come lui, farsi spazio nel cuore di milioni di persone? Domenico Agasso, da anni tra i vaticanisti più letti e autorevoli, ha scritto una biografia completa e appassionante, senza tralasciare nulla: la vita, le idee, tutto quello che c'è da sapere sull'outsider divenuto papa.  Esce con Gallucci 'La storia del basket in 50 ritratti' di Dan Peterson. Li chiamano “i giganti del basket” ma non è necessario essere alti due metri per emergere prima sull’asfalto dei campetti, poi sul parquet. Servono talento, velocità, precisione, doti atletiche e intelligenza, e soprattutto il desiderio di giocare per la squadra, portandola al successo. Da Kareem Abdul-Jabbar a LeBron James, passando per Kobe Bryant, Magic Johnson e Michael Jordan, fino ad arrivare a giovani prodigi come Anthony Edwards e Victor Wembanyama. C’è tanta Nba e non potrebbe essere altrimenti, ma ci sono anche gli europei che l’hanno conquistata, gli allenatori che con le loro idee hanno scritto schemi e storie straordinarie, i talenti under 30 che hanno raggiunto risultati sorprendenti negli ultimi anni e due grandi giocatori italiani. La storia del basket vista attraverso 50 brillanti ritratti, scritti da Dan Peterson con Umberto Zapelloni e illustrati da Fer Taboada.  'Digressione', il libro scritto da Gian Marco Griffi e sugli scaffali con Einaudi, è un romanzo che vuole raccontare, nientemeno, "tutto ciò che esiste, più una parte cospicua di ciò che è esistito e non esiste più, di ciò che esiste pur non essendo mai esistito, e di ciò che non esiste, non è mai esistito e mai esisterà"; e naturalmente, per fare questo, tenta di usare tutte le parole che esistono, più una parte cospicua di quelle che sono esistite e non esistono più, di quelle che esistono pur non essendo mai esistite, e di quelle che non esistono, non sono mai esistite e mai esisteranno. Come nella famosa intro dei Simpson in cui l’intero universo e l’intera storia dell’universo precipitano in un’unica molecola della pelle della zucca gialla di Homer; come in quell’accenno di Borges ai collegi dei cartografi che, insoddisfatti di aver disegnato mappe di singole province estese quanto un’intera città e mappe dell’impero estese quanto un’intera provincia, crearono una mappa dell’impero che dell’impero aveva la stessa estensione e con l’impero coincideva esattamente; come nel racconto di Arthur C. Clarke in cui la compilazione della lista dei nove miliardi di nomi di Dio, affidata da certi monaci tibetani a un supercomputer, provoca la fine del mondo, con i nove miliardi di stelle del cielo che si spengono a una a una: cosí in questo romanzo l’universo 'poético y pintoresco' immaginato da Gian Marco Griffi fin dai suoi primi libri, ed esploso come un big bang narrativo in 'Ferrovie del Messico', continua inarrestabilmente a espandersi e a moltiplicarsi, viaggiando a forsennata velocità verso i limiti della letteratura. Tutto è Digressione, e Digressione è tutto; poiché, come dice Calixto Escalera Del Pilar, 'laberintero inmortal', la vita stessa altro non è che "un’immane digressione nel tragitto che dal grembo materno conduce spietatamente alla tomba".  Cosa fare quando il peso della vita diventa insostenibile, tanto da spingere a pensare che sarebbe meglio porre fine alla propria esistenza piuttosto che continuare a soffocare nel malessere e nell'incertezza? È questa la domanda che si pone Luca, il protagonista di 'Lascia che la vita accada', il libro di Sara Colombo pubblicato da Ponte alle Grazie, quando si risveglia su una barella in una sala di rianimazione, dopo aver tentato il suicidio. Da questo momento inizia per lui un percorso doloroso, ma anche di profonda trasformazione. Grazie al costante dialogo con il suo saggio alter-ego, all’incontro con una serie di persone che cambieranno la traiettoria della sua vita, al confronto-scontro con i genitori e alle sedute di psicoterapia, Luca intraprende un viaggio interiore che lo condurrà alla riscoperta di sé stesso e del suo equilibrio. Con uno stile che ricorda il realismo isterico dei grandi narratori postmoderni, Sara Colombo utilizza la scrittura come una lama capace di squarciare il buio della depressione e di guidarci nelle tenebre. L’autrice mescola il proprio vissuto alla finzione letteraria con acume, intelligenza e un profondo amore per le parole e per la musica, dando vita a una storia che esplora senza paura la sofferenza mentale e rivelando un talento narrativo di grande forza e sincerità.  —culturawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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