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Patto stabilità, Follini: “Partiti uniti nell’astensione ma in silenzio”

(Adnkronos) – "Quello che colpisce di più, nel voto di astensione al Parlamento di Strasburgo di quasi tutti i partiti italiani sul nuovo patto di stabilità europeo, è il silenzio. Nessuna avvisaglia il giorno prima. Nessun commento il giorno dopo. Quasi ad avvalorare l’ironico commento di Paolo Gentiloni compiaciuto (si fa per dire) di aver concorso alla più larga unità della politica italiana. Si dirà che il voto di astensione è una prudente via di mezzo. E che non esclude affatto che più in là ci possa essere un voto a favore. Tanto più che se il nuovo patto non sembra troppo favorevole alle ragioni del nostro paese, l’ipotesi che si torni alle regole di prima suona molto ma molto meno propizia. E così, giocoforza, ci si dovrà adattare all’inesorabilità dei numeri. Laddove il peso del nostro debito non consentirà di fare grandi cambiamenti oggi né di fare grandi manovre di spesa domani o dopo. Resta il fatto che i partiti italiani, quasi tutti, hanno dato voce sommessa al loro mugugno. Espresso quasi con gli stessi argomenti, prettamente “nazionali”, dai partiti di maggioranza e da quelli di opposizione. Tutti astenuti, tranne il M5S che ha pensato bene di votare contro. E così, forze politiche che danno vita quotidianamente a conflitti fin troppo aspri hanno deciso di attestarsi tutte quante sulla trincea dell’astensione, come a voler dire ai loro elettori, ognuno per proprio conto, che sarebbero stati strenui e combattivi nel difendere gli interessi dell’economia italiana. Pazienza se quella scelta era stata la stessa per quasi tutti. L’importante era poi far passare la cosa sotto silenzio. Ora, si può discutere se quel voto sia stato giusto o sbagliato. E se magari possa rendere più forte oppure no la nostra posizione negoziale di qui in avanti. Ma quello che stupisce è che questa decisione sia stata presa quasi alla chetichella. Da parte della maggioranza smentendo la fatica del suo stesso ministro dell’economia. E da parte dell’opposizione smentendo l’altrettanta fatica del “suo” commissario europeo. Circostanza che ovviamente entrambi i fronti negano a gran voce. Ma che risulta quantomeno implicita se solo si confrontano le opinioni del giorno prima e i voti del giorno dopo. Realpolitik, si dirà. Salvo il fatto che non si intravede davvero un margine per ottenere che vengano riscritte quelle regole che prima o poi anche a noi toccherà sottoscrivere. Ma la cosa che colpisce di più, insisto, è come il giorno dopo si sia voluto far calare un fitto sipario sull’argomento. Siamo abituati ad ascoltare proclami stentorei, annunci di guerra, bollettini di vittoria. Non c’è giornata in cui non si sentano i partiti far la voce grossa enfatizzando a dismisura le svolte, le novità, le buone intenzioni che accompagnano il loro cammino. E contestualmente mettendo alla berlina i loro avversari, spesso e volentieri deformandone le posizioni come se ci trovassimo dentro una apocalittica e permanente campagna elettorale. E quando invece sarebbe il caso di richiamare l’attenzione, di spiegare le cose, di dar conto di una novità importante -condivisibile o meno che sia- ci si trincera in un silenzio imbarazzato e imbarazzante. Magari confidando che i loro elettori non si avvedano che i propri partiti, divisi, divisissimi il giorno prima, hanno fatto tutti il giorno dopo la stessa, stessissima scelta. Nascosta prudentemente in attesa che la cronaca politica potesse restituire ciascuno alla propria trincea, magari drammatizzando l’ultima disputa sulla Rai o il controverso conteggio dei voti in qualche lontana contrada presto archiviata. Insisto, il punto non è tanto se quel voto sia stato giusto o sbagliato, se esso serva a tutelare meglio o rischi invece di mettere più a repentaglio i nostri interessi nazionali. Il punto è che questi passaggi andrebbero costruiti, spiegati, socializzati. E se per una volta capita che ci si ritrovi a votare tutti insieme, anche di questo sarebbe giusto mettere a parte l’opinione pubblica. Confidare nella poca memoria delle persone non è mai un buon investimento per una grande democrazia". (di Marco Follini) —politicawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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